Grazia Deledda, dalla figura minuta e l’animo immenso, è l’unica scrittrice italiana ad aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura, nel lontano 1926 per “la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con profonda comprensione degli umani problemi”.
Uno spirito complesso e indomabile, il suo, e coraggioso: dipingeva a parole le difficoltà del suo tempo, portando spesso nelle sue novelle i temi dell’ipocrisia e dell’arretratezza della realtà d’origine, ma anche - più in generale - quello dell’animo umano.
La sua poetica unica e originale contribuì ad accendere le luci della ribalta mondiale sulla Sardegna, sebbene lei stessa affermasse che non sarebbe mai riuscita «ad avere il dono della buona lingua», a testimonianza di un senso di inferiorità inculcato con secoli di dominazioni, e per fortuna superato grazie a un intenso risveglio letterario.
Nei romanzi di Grazia Deledda scorre, veemente, la forza ancestrale della sua terra, condensandosi in uno dei più densi momenti della storia della letteratura italiana.
Non possiamo che ringraziarla mentre pensiamo alle sue emozionanti parole: “Ho vissuto coi venti, coi boschi, colle montagne. Ho guardato per giorni, mesi ed anni il lento svolgersi delle nuvole sul cielo sardo. Ho mille e mille volte poggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie, ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente. Ho visto l’alba e il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne, ho ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo. E così si è formata la mia arte, come una canzone, o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo”.