5 ottobre 2021

Follia e letteratura, l'arduo racconto della psiche

Scrivere di psicosi, dall’esplorazione alla narrazione

Scrivere un romanzo che indaghi l’anima, o la mente, è tutt’altro che banale e richiede un profondo studio della personalità.

Per parlare di psicosi, ancor di più, occorre averne profonda conoscenza, scandagliarne i meandri fino ad arrivare alle condizioni più estreme, affacciandosi all’abisso senza paura o superficialità, ma con spirito che sia il più analitico possibile.

Contemporaneamente, descrivere la follia richiede una profonda empatia e comprensione, un’irriducibile volontà di mettersi nei panni di un altro e viverne sulla propria pelle le difficoltà, per produrre una storia e dei personaggi che siano realistici, senza eclatanti storpiature o artifici.

Scrivere della follia, dove il vero antagonista è spesso un’entità intangibile, significa mettersi alla guida di un veicolo verso la faccia oscura delle cose, rimanendo a bordo - come in un safari - per scongiurare il rischio di venirne inghiottiti.

L’autore non deve però illudersi di essere conducente, in questo viaggio: quando ci si addentra nei flutti di una mente destabilizzata, è la storia a guidare e la penna dell’autore non può che fare da passeggero, pronto ad osservare e comprendere.