«Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole» scriveva Charles Baudelaire nella sua poesia Le Voyage (Il Viaggio), contenuta nella sezione La Morte e chiusura della raccolta I fiori del Male.
Mai come ora, parlare di viaggio ci porta a momenti lontani, in cui lo spostamento per piacere era qualcosa di pressoché immediato e naturale, senza ancora l’ombra di una pandemia all’orizzonte.
Anche per il poeta il viaggio era una delle maggiori fonti di ispirazione. Nei suoi scritti parlava spesso di posti lontani ed esotici, di paradisi che rispecchiano “l’ideale”, di luoghi dove tutto non è che “ordine e beltà, lusso calma e voluttà”.
Una tematica che, ripercorrendo tutta la sua opera, sembra quasi fuori posto se accostata agli altri soggetti che Baudelaire amava descrivere: tra morte, male di vivere, follia, amori distruttivi, sostanze inebrianti, alienazione e molto altro, il poeta francese si è guadagnato l’appellativo di “maledetto”, dovuto anche allo stile di vita che usava condurre.
Ed è forse proprio questa “maledizione” a esaltarne il fascino, perché in ognuna delle sue poesie, alcune crude e struggenti e altre sognanti e quasi bucoliche, Baudelaire non fa che ricordarci che - non di rado - la bellezza si può trovare anche nei luoghi e nelle situazioni più impensabili.
E oggi, a 200 anni dalla sua nascita, facciamo bene a ricordarlo.